Ep. 07: La storia di Giuseppe Dosi

Episode 7 September 07, 2023 00:13:26
Ep. 07: La storia di Giuseppe Dosi
Cooperazione Internazionale di Polizia
Ep. 07: La storia di Giuseppe Dosi

Sep 07 2023 | 00:13:26

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In questo episodio ripercorreremo la storia di colui che viene definito il capostipite italiano della cooperazione internzionale di polizia: Giuseppe Dosi.

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GIUSEPPE DOSI il primo poliziotto italiano nella cooperazione internazionale In questo episodio del nostro podcast di Unige Radio, la radio web dell’Università di Genova, dedicato alla Cooperazione Internazionale di Polizia, raccontiamo del primo poliziotto italiano che si dedicò all’attività all’estero. Parliamo di Giuseppe Dosi, un personaggio poliedrico e - come scopriremo a breve - dai molti volti, che sin dall’inizio della sua carriera, nella prima metà del Novecento, grazie alla conoscenza di più lingue, fu inviato dalla polizia italiana in numerosi Paesi stranieri e che, a conclusione della carriera stessa, guidò l’ufficio italiano dell’Interpol. (Stacco_Dosi_1) Ma facciamo un passo alla volta, iniziando dall’inizio: chi era Dosi? Nato a Roma, il papà carabiniere mancato anzitempo, avrebbe voluto essere attore. A ventun anni, nel 1912, da giovane studente universitario, era stato anche ingaggiato dal Teatro Argentina di Roma. Slanciato e di bell’aspetto, la sua specializzazione erano i travestimenti. Da “generico” lo pagavano cinque lire al giorno. Seppure arrotondasse con lezioni di francese e di inglese ai figli degli attori e con qualche comparsata negli iniziali lavori cinematografici, i modesti guadagni comunque non gli consentivano di sfamare sé e la mamma. Né avevano attirato molto interesse i suoi primi acerbi scritti, l’operetta Don Martuccio del 1910, Il Ritorno, dramma in tre atti dell’anno successivo e il dramma in un atto La madre sterile, del 1912. La Compagnia drammatica stabile doveva partire per una tournée negli Stati Uniti, e lui da Roma non poteva certo allontanarsi. Decise allora di frequentare in ambito universitario un corso tenuto dal professor Salvatore Ottolenghi, un luminare che andava predicando le meraviglie della nascente polizia scientifica, compreso il rivoluzionario “ritratto parlato”, ovvero le schede riportanti i dati fisici delle persone arrestate, inventato dal parigino Adolphe Bertillon. Il collaboratore del professore, Giovanni Gasti, notò il vivace frequentatore e gli consigliò di tentare il concorso in polizia, quale Alunno delegato di P.S., che Dosi superò brillantemente, tanto da entrare nel Corpo il 1° marzo 1913. Dopo il corso presso la Polizia Scientifica fu destinato a Udine, e quindi a Milano, dove si mise subito in mostra, agendo come si direbbe oggi “sotto copertura”, simulando di essere un francese al fine di infiltrarsi in un giro di contrabbando di saccarina, per la quale vi era divieto di introduzione e di produzione nello Stato italiano. Dopo Bologna e Rieti, finalmente il ritorno nella sua Roma, al commissariato di Borgo. Qualcuno evidentemente notò quel giovane e fantasioso poliziotto, tanto da trasferirlo nella delicata Divisione Affari Generali e Riservati, ai quartieri alti, direttamente al Viminale, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza. Lo inviarono subito a Vienna, nella prima di numerosissime missioni all’estero. Conosceva il tedesco e doveva aiutare i colleghi austriaci a tener d’occhio i sostenitori degli Asburgo che volevano rimettere sul trono Carlo. Per seguire da vicino questi, intanto confinato su un’isola portoghese dell’arcipelago di Madera, Dosi si trasformò in console. Il viaggio verso l’sola non fu però fortunato per il nostro poliziotto sotto mentite spoglie di console, poiché il treno ebbe un incidente in Spagna, e Dosi riportò varie fratture. Alla fine, giunto al cospetto dell’esiliato Carlo d’Asburgo, non poté che attenderne la morte, che giunse dopo soli 15 giorni dal suo arrivo. Intanto il Partito Nazionale Fascista era già al potere e il Sottosegretario agli Interni Aldo Finzi volle con sé quell’originale e capace poliziotto, inviato spessissimo all’estero (Corfù, Svizzera, Tangeri, tra le molte altre, per un totale di oltre settanta servizi oltre confine). Le capacità di Dosi gli fruttarono nel luglio del 1923 la promozione a Commissario per meriti speciali, ed a fine 1925 un particolare servizio da svolgersi in Svizzera, che lo portò ad assicurare Mussolini in persona, ricevendone un elogio, su un presunto dossier segreto tenuto a Berna e riguardante il periodo trascorso dal futuro Duce in Svizzera quale socialista rivoluzionario. Nulla di che, un innocuo scritto ben custodito in una cassaforte dei colleghi della polizia elvetica a Ginevra, aveva sentenziato Dosi. (Stacco_Dosi_2) Il vento però girò improvvisamente nella pur turbinosa vita di Dosi, e stavolta, a causa della sua cocciutaggine, egli rischiò di finire sull’orlo del tracollo. Anche questa parte della sua vita merita di essere raccontata, per comprendere come si sviluppò il seguito. Dobbiamo riandare ad una serie di omicidi terribili che scossero Roma: parliamo della atroce sorte toccata a quattro bimbe tra il 4 giugno 1924 e il 12 marzo del 1927 a Roma, episodi per i quali fu indiziato Gino Girolimoni, fotografo, bellimbusto in cerca di avventure galanti, poi prosciolto in sede istruttoria per la fragilità degli elementi probatori raccolti dalla Polizia a suo carico. Il caso vuole che Dosi, nel settembre del 1927, nel corso di una sua missione “speciale” a Capri (una delle tante che gli avevano affidato da quando era in forza alla Divisione Affari Generali e Riservati) incrociasse il nome del reverendo anglicano inglese presso la chiesa di Roma, Ralph Lyonel Brydges. Dosi era a Capri per cercare di comprendere il mondo debosciato – così si scriveva nelle carte di polizia – che fioriva sull’isola. Non solo dandy, ma anche una sorta di comunità omosessuale, con la presenza di numerosi stranieri. Il settantunenne Brydges era stato arrestato in flagranza sull’isola mentre commetteva atti osceni su una bambina e subito rilasciato su pressione del consolato inglese. Dosi, tornato a Roma, approfondì le indagini e si mise sulle tracce del reverendo. Ma la polizia fascista poco interesse aveva a che la questione delle bimbe tornasse sulle prime pagine, dopo il panico che si era scatenato pochi anni prima. Girolimoni come abbiamo detto era stato prosciolto in istruttoria per insufficienza di prove e era libero e il reverendo godeva di potenti appoggi. E che Dosi se ne stesse tranquillo, altrimenti lo avrebbero spedito a Cortina d’Ampezzo. Ma il tenace poliziotto non ne volle sapere, e il 13 maggio 1928 si recò a Genova per notificare a bordo della nave Linstephan Castle, che stava per portarlo al sicuro all'estero, il provvedimento di fermo al reverendo Brydges. Apriti cielo! Il minacciato trasferimento a Cortina si concretizzò, Brydges fu rinchiuso per tre mesi nell'ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, per poi ottenere l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Se ne andò in Canada. E quel tarlo rimase nella testa del detective Dosi per anni e anni, tanto che ci scriverà anche un libro. Che dire poi del tourbillon di trasferimenti che dovette subire come conseguenza della sua tenacia? Tre anni ad Assisi, dove almeno trovò il tempo per laurearsi in Giurisprudenza presso l’Università di Perugia discutendo una tesi sul “valore della polizia internazionale”, poi nel 1932 La Spezia, che lo vide protagonista di un’altra inchiesta che scosse l’opinione pubblica: quella di una donna depezzata i cui resti erano stati rinchiusi in valigie rinvenute rispettivamente su treni nelle stazioni ferroviarie di Napoli e Roma, che i giornali etichettarono come il caso del Landru italiano, e le indagini, condotte alla Spezia da Dosi poiché lì furono raccolte importanti testimonianze su un passeggero sospetto, portarono alla individuazione dell’autore di quello e altri omicidi e alla sua condanna a morte. Quindi Dosi ne aveva abbastanza di girare l’Italia, e cominciò a lamentarsi con i superiori, che pensarono bene di mettere la sordina a quel funzionario divenuto ingombrante: sospensione di tre mesi dal servizio e dallo stipendio. Trovò rifugio nella scrittura: collaborava con una rivista americana, True detectives mysteries, e tornò ai drammi: Il Pierrot giallo era un’opera in tre atti, quindi le altre. Poi, quando riprese servizio, a Firenze, Urbino nel 1935 e Vasto nel 1936, si dedicò ad un Memoriale di 483 pagine in cui lamentò quella che oggi si definirebbe mobbing. Inviò tra gli altri il suo Memoriale anche al Duce, e questa fu la goccia che fece traboccare il vaso: stavolta dispensa dal servizio per violazione della legge ed eccesso di potere, quindi il 19 giugno 1939 arresto. Dopo tre mesi di carcere duro, sbattuto su ordine del Capo della polizia fascista Bocchini in quello stesso manicomio giudiziario romano che aveva ospitato il reverendo da lui ritenuto l’autore degli atroci omicidi delle bimbe. E certo Dosi pazzo non era, seppure tale era stato giudicato da un medico psichiatra alto ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia, che gli aveva riscontrato sindrome paranoidea con idee persecutorie. (Stacco_Dosi_3) Era il gennaio del 1941 quando consentirono a Dosi di uscire dal manicomio giudiziario: il Capo della Polizia Bocchini – che tanto lo aveva avversato - era morto nel novembre del 1940, la guerra imperversava, che senso aveva pensarono i vertici lasciarlo ancora marcire lì dentro? Lui doveva semplicemente ricostruirsi la vita, badare alla famiglia. Non era certo facile. Ciò che sapeva fare era scrivere, e poi era un attore: trovò posto come funzionario all’Eiar, Ente italiano per le audizioni radiofoniche, ma quando la radio del regime si trasferì al Nord, nel gennaio 1944, decise di rimanere a Roma, che era sotto il tallone dell’occupazione nazista. Le SS avevano il proprio comando nel famigerato edificio di via Tasso, nei pressi della Basilica di San Giovanni, sede anche di una prigione. All’arrivo degli Alleati, il 4 giugno, i nazisti lasciarono in tutta fretta quel luogo, preso d’assalto dai romani infuriati. Dosi – che nel frattempo sbarcava il lunario facendo il fotogiornalista - si rese conto che lì erano documenti che potevano risultare importanti sotto l’aspetto giudiziario, e quindi li raccolse come poté, riempiendo sacchi di carta che portò a casa sua, che per altro non era lontana. Poi pensò bene di presentarsi ai liberatori, prendendo contatti con il controspionaggio, per consegnare la documentazione. A questi non sembrò vero di incontrare un personaggio del genere, già poliziotto e conoscitore del mondo criminale romano, nonché delle lingue e con esperienze all’estero. Lo posero sotto la loro ala, nominandolo special investigator, facendolo testimoniare nei processi contro i capi nazisti dei quali aveva raccolto le preziose carte in Via Tasso e infine premiandolo con la Medal of Freedom. Le montagne russe della vita di Giuseppe Dosi non erano però ancora giunte a conclusione: nel 1946, pienamente reintegrato in Polizia anche grazie ai servigi prestati agli alleati, quella passione per la “polizia internazionale” che aveva segnato i suoi primi passi da investigatore ed era stato l’oggetto della sua tesi di laurea, lo portò a costituire e dirigere l’ufficio italiano Interpol presso la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, che seppe sapientemente valorizzare sino a quando, raggiunti i 65 anni, nel febbraio del 1956 fu posto a riposo. Ma riposo era una parola che Giuseppe Dosi non aveva nel suo vocabolario: così pensò bene di fondare, nella sua Roma, una agenzia di investigazioni internazionali. Straordinario protagonista di indagini rocambolesche, personaggio originale e talentuoso, anticipatore dei moderni tempi di collaborazione tra forze di polizia in ambito internazionale, oltre a essere tuttora ricordato dall’Interpol e dalla Polizia di Stato, Giuseppe Dosi, mancato nel 1981 all’età di novanta anni, è onorato dal Museo storico della Liberazione di Roma, che ha sede proprio in quella Via Tasso da cui egli ebbe la lungimiranza di salvare documenti di grande importanza storica e giudiziaria. Il Museo conserva infatti il suo ricchissimo e interessante Archivio. Se volete sapere di più sul primo poliziotto italiano protagonista della cooperazione internazionale cercate on line il libro che la Polizia italiana gli ha dedicato nel 2014, curato da Raffaele Camposano, intitolato Giuseppe Dosi il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana. Vi ricordo che il podcast sulla Cooperazione Internazionale di Polizia fa parte di Urpodcast, ed il link a tutti gli episodi si trova su radio.unige.it.

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